Oggi parleremo di M&A, un tema spesso percepito come complesso, ma che può offrire grandi opportunità. Con “M&A” intendiamo le operazioni di Merger & Acquisition, cioè fusioni e acquisizioni, strumenti strategici per ridefinire la struttura di un’azienda. Sono processi che possono portare due o più aziende a unirsi o una società ad acquisirne un’altra, cambiando radicalmente il loro assetto competitivo.
Iniziamo con la fusione. La fusione avviene quando due o più aziende si uniscono, e le società incorporate scompaiono all’interno della società incorporante. Facciamo un esempio pratico: immaginiamo le società A e B che decidono di fondersi. Se B viene incorporata in A con un rapporto di concambio di 1 azione di A ogni 3 azioni di B, tutti gli azionisti di B cederanno le loro azioni e riceveranno in cambio 1 azione di A per ogni 3 di B. A quel punto resterà solo A, che avrà assorbito B. Anche i derivati e gli strumenti come opzioni e futures vengono rettificati per tenere conto di questi cambiamenti, e ciò avviene, per esempio, sul mercato IDEM, oggi rinominato Euronext Derivatives Milan.
Ma veniamo ora alle acquisizioni, che possono presentarsi in diverse forme: LBO, MBO e MBI. Il Leveraged Buy-Out, o LBO, consiste nell’acquisto di una società principalmente tramite debito. È come comprare casa facendo un mutuo, con l’idea di ripagare il prestito grazie agli affitti futuri o vendendo parte della casa. Qui, si crea una nuova società, detta newco, molto indebitata, per comprare quella target. Spesso poi si fonde tutto, trasferendo il debito alla società acquisita. È una strategia potente, ma bisogna avere aziende solide, perché le loro azioni o beni servono da garanzia.
Passiamo ora al Management Buy-Out, o MBO, dove sono i dirigenti stessi della società a comprare il controllo, usando finanziamenti esterni e offrendo come garanzia gli asset aziendali. Si può dire che è un LBO “dall’interno”. Un esempio semplice: i manager di un’azienda decidono di diventarne i proprietari, un po’ come degli allenatori che comprano la squadra per cui lavorano. Il Management Buy-In, o MBI, invece, è simile, ma a comprare la società è un gruppo di manager esterni. Anche qui, il finanziamento è fondamentale per chiudere l’operazione.
Riassumendo, la fusione è un accordo tra due aziende per creare un’unica entità, mentre l’acquisizione è il passaggio di proprietà, totale o parziale, sotto il controllo di un’altra società. Nella fusione, le aziende possono diventare partner alla pari, anche se questo è raro; nell’acquisizione, invece, c’è sempre una società controllante e una subordinata. E oggi, sempre più spesso, M&A è diventato un termine generico per indicare qualsiasi operazione in cui le aziende si uniscono.
Parliamo ora della storia delle M&A. Tutto nasce tra il 1895 e il 1904, durante il cosiddetto “Great Merger Movement” negli Stati Uniti. All’epoca, piccole aziende con mercati limitati iniziarono a unirsi per diventare più forti e guadagnare posizioni dominanti. Da allora, ci sono state diverse “ondate” di fusioni, spesso legate a fasi di crescita economica o a cambiamenti tecnologici, normativi o di settore. Un po’ come le mode che tornano ciclicamente, anche le M&A seguono dei cicli storici.
Possiamo individuare sei grandi ondate di M&A. La prima, tra il 1897 e il 1904, mirava a creare monopoli e sfruttare le economie di scala. Poi, tra il 1916 e il 1929, ci furono fusioni orizzontali e verticali per migliorare l’efficienza produttiva. Negli anni ’60, tra il 1965 e il 1969, nacquero i conglomerati, cioè aziende di settori diversi che si unirono. Negli anni ’80, tra il 1981 e il 1990, ci si focalizzò su sinergie strategiche. Dal 1993 al 2000, la globalizzazione ha portato alle M&A internazionali, come l’unione tra Exxon e Mobil. Dal 2000 a oggi, la tecnologia e la globalizzazione continuano a trainare questo fenomeno.
Guardiamo ora all’Italia. Secondo KPMG, il 2024 è stato un anno record per il mercato M&A italiano, con ben 1.369 operazioni concluse, un aumento dell’8% rispetto al 2023, per un valore totale di circa 73 miliardi di euro, addirittura +91% sull’anno precedente. Un dato impressionante riguarda le 15 operazioni sopra il miliardo di euro. La più rilevante? L’acquisizione da parte di Optics BidCo, controllata da KKR, dell’infrastruttura di rete fissa di Tim, NetCo, per un valore di 14,2 miliardi di euro. Numeri che fanno capire quanto il nostro mercato sia vivo.
Non solo grandi operazioni! Il report KPMG sottolinea che i settori più attivi per le grosse transazioni sono stati Telco, Banche ed Energia. Ma nel mid-market, tipico del Made in Italy, il fermento non manca: qui troviamo operazioni nelle filiere consumer e industriali, spesso legate al lavoro strategico del private capital. Inoltre, il mercato domestico italiano ha superato i 700 deal, per un controvalore di quasi 10 miliardi di euro. Sono operazioni più piccole, ma fondamentali per rafforzare le filiere produttive e consolidare la leadership del nostro Made in Italy.
Un dato che colpisce è l’importanza delle operazioni cross-border: rappresentano l’86% del mercato M&A italiano, per un totale di 62,8 miliardi di euro. Da una parte, abbiamo gli investitori esteri che guardano con interesse al Made in Italy – 417 operazioni per 34,8 miliardi di euro – dall’altra, le aziende italiane che si fanno avanti sui mercati esteri con 246 operazioni per 28 miliardi. È un segnale forte: le imprese italiane hanno sempre più coraggio e ambizione di diventare player internazionali.
In tutto questo, il ruolo del consulente finanziario è cruciale. Spesso si pensa che nelle M&A agiscano solo studi legali o banche d’affari, ma il financial advisor è il punto di riferimento del cliente. Conosce a fondo il patrimonio, le esigenze e le emozioni del cliente. Essere al suo fianco in operazioni complesse significa aiutarlo a navigare tra scelte difficili, individuare i professionisti giusti da coinvolgere e accompagnarlo lungo tutte le fasi, dalle analisi preliminari alle decisioni finali.
Il consulente finanziario non è solo un tecnico: è anche un supporto umano, capace di dare consigli strategici ma anche di rassicurare nei momenti di incertezza. Un po’ come un regista dietro le quinte che coordina gli attori, il financial advisor aiuta a orchestrare un’operazione complessa, garantendo che ogni elemento – legale, fiscale, strategico – si incastri alla perfezione. Senza dimenticare l’aspetto relazionale, perché in operazioni di questo tipo la fiducia e la chiarezza di comunicazione sono fondamentali.
Pensiamo per esempio a un imprenditore che decide di vendere l’azienda di famiglia. Non è solo una questione economica, ma anche emotiva. Il consulente è lì per ascoltare, capire le motivazioni profonde e guidare verso le scelte migliori, proteggendo il patrimonio ma anche il benessere psicologico del cliente. Lo stesso vale per un’acquisizione: valutare rischi, opportunità e compatibilità culturale tra aziende richiede competenze trasversali, che il consulente può mettere in campo.
E non dimentichiamo che ogni operazione di M&A è unica. Non esistono manuali standard: ogni deal nasce da analisi approfondite e decisioni complesse. Il consulente finanziario deve saper leggere i numeri, ma anche le persone. È un lavoro che richiede intuito, preparazione e capacità di visione. Ecco perché chi ha un consulente al proprio fianco parte con un vantaggio competitivo notevole, sia in termini di risultati economici sia di serenità personale.
In conclusione, le M&A non sono solo operazioni tra aziende, ma vere e proprie trasformazioni che coinvolgono persone, patrimoni e progetti di vita. Per questo è fondamentale affrontarle con la giusta preparazione e con i partner giusti. Se stai pensando di esplorare queste opportunità, il primo passo è confrontarti con un consulente finanziario di fiducia, capace di trasformare complessità in chiarezza e opportunità.