Abbiamo tante volte affrontato il tema della sostenibilità, di quanto le aziende stanno modificando i propri processi adeguandosi ai nuovi criteri ESG e di come l’ONU, con i suoi 17 GOALS non ha voluto chiudere gli occhi davanti alle problematiche legate alla sostenibilità mondiale.
Anche la NASA è riuscita a trasformare i dati della CO2 nell’atmosfera, raccolti da un satellite, in un modello applicabile alla superficie terrestre in grado di capire quali aree emettono più gas serra. Pura linfa in vista della riduzione delle emissioni decisa alla COP26.Si tratta di una svolta nelle misurazioni che la NASA ha definito una “pietra miliare” e che è stata permessa indirettamente dai lockdown del 2020.
Durante il vertice sul clima COP26, tenutosi recentemente, più di 40 Paesi si sono accordati per non utilizzare più il carbone per produrre energia elettrica, riducendolo gradualmente entro il 2030 nelle maggiori economie, ed entro il 2040 per quelle più povere. Chi ha firmato questo accordo?
L’Italia, in primis, ma anche Polonia, Vietnam e Cile, quali grandi utilizzatori di carbone.
Diversamente Australia, India, Cina e Stati Uniti non lo hanno firmato.
Lo scopo è rimasto quello degli accordi di Parigi del 2015, che puntano a mantenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5° C entro la fine del secolo.
Per poter essere in grado di verificare il contenimento delle emissioni di gas serra, che concorrono ad aumentare la temperatura del pianeta, sono quindi necessari strumenti di controllo già in atto che comprendono l’inventario delle fonti di emissione e di rimozione, così come dei pozzi di assorbimento, ma che richiedono tempo per essere esaminati e revisionati.
Proprio durante la COP26, è stato presentato il Climate Trace, un progetto di Al Gore – l’ex vicepresidente degli Stati Uniti – che utilizza l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico per analizzare le immagini satellitari e i dati dei sensori per ottenere stime in tempo quasi reale, e definite accurate, delle emissioni di CO2 per Paese.
Approfondendo i dati rilevati, possiamo vedere, per esempio, che nel 2020 l’Italia ha immesso nell’atmosfera 0,46 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente: una percentuale dello 0,90% sul totale delle emissioni globali che ci fa raggiungere il 22° posto nella classifica mondiale.
Quella di Climate Trace sembra essere una soluzione più rapida rispetto agli esami precedenti, ma la NASA pare abbia in mano qualcosa di ancora più veloce e che può utilizzare i satelliti in modo più diretto.
Dal 2009 la NASA ha iniziato una missione chiamata Orbiting Carbon Observatory che ha il compito di effettuare misure precise, ma globali, dell’anidride carbonica atmosferica da un satellite in orbita intorno alla Terra. Dal 2014 sopra le nostre teste si muove il satellite OCO-2 che, analizzando la colonna d’aria sotto di esso, si sta occupando di raccogliere i dati dei cicli stagionali della CO2 su quasi tutto il pianeta.
I ricercatori della NASA si sono accorti che inserendo le misurazioni satellitari di CO2 in un modello adattato alla superficie terrestre, sono stati in grado di rilevare piccole riduzioni nella concentrazione atmosferica del gas sopra gli Stati Uniti e altre aree che corrispondevano a zone interessate dai lockdown occorsi all’inizio del 2020.
Sono quindi riusciti a tramutare i dati che sarebbero stati analizzati su scala globale, pur se raccolti localmente da ogni colonna d’aria esaminata da OCO-2, in calcoli più specifici e che in futuro potrebbero essere impiegati per le analisi in tempo reale delle emissioni di CO2.