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La Successione Legittima

Spesso accade che un individuo decida di disporre, mediante testamento, del proprio patrimonio. Lo scopo, ovviamente, è quello di destinare tale patrimonio alle persone più care, parenti e non, con l’idea che una successione “orientata” possa:

1. limitare la frammentazione del patrimonio;

2. evitare situazioni di comproprietà ereditaria di difficile gestione;

3. scongiurare liti tra gli eredi.

Ma, questo soggetto chiamato testatore, può disporre liberamente del proprio patrimonio? 
La risposta breve è: non pienamente.

La libertà de cuius trova, infatti, un limite nella legittima, ossia la quota del patrimonio che, per legge, deve essere necessariamente destinata ai legittimari, particolare categoria di eredi individuata tra i familiari più stretti, come i figli, la cui tutela è garantita anche a fronte di una eventuale volontà contraria del testatore.

In particolare, le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità sono: il coniuge, i figli e gli ascendenti, cioè i genitori.

La legittima spettante al coniuge comprende una quota pari a metà del patrimonio del de cuius, salvo le ipotesi di concorso con i discendenti o ascendenti. Inoltre, al coniuge è riconosciuto il diritto di abitazione sulla residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano.

Le stesse regole valgono anche per il coniuge separato, il quale ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato, salvo gli sia stata addebitata la separazione.

In questo ultimo caso il coniuge separato con addebito ha diritto, in quanto creditore, al solo assegno vitalizio se, al momento dell’apertura della successione, godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto.

In caso di divorzio, l’ex coniuge perde i diritti successori e ha diritto, se previsto, all’assegno di divorzio.

Con riferimento ai figli, la quota di riserva varia in relazione al loro numero e al concorso o meno con il coniuge.

In particolare, la quota di patrimonio del de cuius loro riservata, salvo i casi di concorso con il coniuge, è pari a:

1. 1/2 se figlio unico;

2. 2/3 da dividersi in parti uguali in caso di pluralità di figli.

Infine, gli ascendenti, i quali vengono in considerazione se chi muore non lascia figli, hanno diritto, salvo il caso di concorso con il coniuge, a una quota pari a 1/3 del patrimonio del de cuius.

In merito alla posizione delle categorie di legittimari, dunque, la presenza di figli esclude quella degli ascendenti, mentre il coniuge concorre sia con gli uni che con gli altri.

In particolare, nel caso di concorso tra coniuge e figli è previsto che la quota riservata al coniuge vari a seconda che i figli siano uno o più di uno:

1. se il figlio è uno, al coniuge spetta 1/3 del patrimonio, mentre al figlio 1/3.

2. se i figli sono più d’uno, al coniuge spetta 1/4 del patrimonio, mentre ai figli spettano 2/4.

I legittimari hanno diritto ad ottenere la propria quota di legittima in natura o per un valore corrispondente alla propria quota ed il testatore non può imporre alcun peso o condizione sulla stessa.

Il de cuius non può, quindi, con le disposizioni testamentarie, pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari, ma può disporre liberamente per testamento della quota di patrimonio restante.

Nell’ipotesi in cui il testatore, con disposizioni testamentarie che eccedono la porzione disponibile o con eventuali donazioni effettuate in vita, leda la quota spettante ai legittimari, l’ordinamento riconosce a quest’ultimi la possibilità di esercitare l’azione di riduzione e le conseguenti due azioni:* l’azione di restituzione o* l’azione di restituzione contro eventuali terzi acquirenti.

L’azione di riduzione ha lo scopo di far dichiarare l’inefficacia delle donazioni lesive; le altre azioni, successive alla prima, hanno lo scopo di recuperare i beni oggetto delle disposizioni testamentarie e le donazioni lesive della legittima.

Si ricorda che l’esperimento delle menzionate azioni resta una facoltà per il legittimario leso, il quale può validamente rinunciare a tutta o parte della propria quota di legittima, accontentandosi di quanto ricevuto dal de cuius con le disposizioni testamentarie.

Presupposto indispensabile e comune alle azioni menzionate è che si sia effettivamente verificata una lesione della legittima. A tal fine occorre procedere alla riunione fittizia: operazione aritmetica che consente di calcolare l’entità del patrimonio ereditario al momento dell’apertura della successione, individuando la porzione di patrimonio disponibile e quella riservata ai legittimari.

Nello specifico, si tratta considerare i beni che appartenevano al de cuius all’apertura della successione al netto dei debiti, propri del de cuius e di quelli sorti in occasione della morte, ad esempio spese funebri ed imposte di successione, e sommare il valore dei beni donati in vita, secondo il valore attualizzato alla data di apertura della successione, come se gli stessi non fossero mai usciti dalla sua disponibilità.

Tale operazione, tuttavia, non determina il ritorno dei beni donati nel patrimonio del defunto, ma ha lo scopo esclusivo di determinare le quote di legittima, sul presupposto che le donazioni fatte in vita costituiscono anticipi della successione.

Si segnala, infine, che l’intangibilità della legittima vale non solo quando il de cuius intenda disporre del proprio patrimonio mediante testamento, ma anche mediante gli altri strumenti di pianificazione successoria.

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