Inauguriamo il primo di tre episodi dedicati a un tema che ormai incontriamo ogni giorno: le polizze vita unit e index. A prima vista sembrano tutte uguali e spesso vengono presentate come soluzioni “per tutti”, ma dietro etichette simili convivono logiche molto diverse. In questa prima puntata mettiamo in chiaro fenomeno, promesse e rischi con esempi pratici e linguaggio semplice.
Partiamo dalle definizioni. “Unit–linked” significa che i premi confluiscono in uno o più fondi interni o OICR: il valore della polizza segue l’andamento di quote (unit) investite sui mercati. “Index–linked” lega la prestazione a un indice o a un paniere di attività (talvolta con strutture obbligazionarie sottostanti). Tradotto: il rischio finanziario (cioè l’oscillazione del valore) è in misura prevalente a carico del contraente. Non parliamo di gestioni separate tradizionali: qui il capitale non è tipicamente garantito.
Perché sono diventate così diffuse? Per tre motivi: (1) flessibilità di costruzione (linee, switch, combinazioni), (2) fiscalità tipica dei rami vita, (3) pianificazione (beneficiari e continuità). Ma la popolarità crea equivoci: alcuni le vedono come “cassaforti” immuni da rischio o come conti deposito con benefici fiscali. Non è così: sono strumenti finanziari-assicurativi in cui il rendimento è legato ai mercati e ai costi complessivi.
Apriamo la cassetta lessicale: rischio demografico è l’incertezza legata alla durata della vita dell’assicurato (mortalità/longevità). Nelle unit/index, questo rischio è spesso marginale o presente in modo non irrisorio solo se la prestazione in caso di decesso supera il controvalore finanziario con una maggiorazione significativa. Distinguere tra rischio finanziario e rischio demografico è cruciale per capire regole, tutele e fiscalità.
Le promesse più frequenti in brochure? “Diversificazione”, “architettura aperta”, “soluzioni per ogni profilo”. Vere sulla carta, ma vanno misurate. Diversificare non è avere tanti fondi, è combinare fattori di rischio con correlazioni diverse. Architettura aperta non significa automaticamente “migliori fondi”, ma accesso a una lista che va selezionata con criterio. “Per ogni profilo” è un invito a profilare bene obiettivi, orizzonte e capacità di sopportare perdite.
Parliamo di costi in modo chiaro. In una unit/index tipici livelli di costo sono: caricamenti, costi di gestione della polizza, costi dei fondi sottostanti, eventuali costi di switch o di riscatto. Il numero che riassume l’impatto è il costo totale (a volte indicato come TER o costi totali annui nel KID). Se il portafoglio rende il 4% lordo ma i costi sono il 2,2%, al netto restano 1,8% (prima di eventuale fiscalità): questa aritmetica, non lo storytelling, determina l’esperienza del cliente.
Il KID (Key Information Document) è il foglio di istruzioni in tre pagine: mostra rischi, costi e scenari di performance. “Scenari” non sono previsioni, ma simulazioni standardizzate per capire sensibilità del prodotto in diverse condizioni di mercato. Leggere il KID è come guardare la tabella nutrizionale: non dimagrisci leggendola, ma senza quella ingrasseresti di illusioni. Portate sempre il discorso sul netto dopo costi.
Riscatto e liquidità: nelle unit/index la disponibilità è in genere parziale e con tempi tecnici (cut–off, valorizzazioni, giorni di valuta). Esiste il rischio di disinvestire nei minimi: se vendi durante una fase negativa, cristallizzi la perdita. Per questo serve un orizzonte coerente e una regola d’ingresso/uscita (piani nel tempo, ribilanciamenti) per ridurre l’effetto “tutto e subito”.
Beneficiari e continuità: il vantaggio percepito è la designazione dei beneficiari e la separazione dal circuito successorio ordinario. Attenzione però a non mitizzare: tutele come l’impignorabilità hanno limiti e dipendono dalla qualificazione giuridica effettiva del contratto (se prevale la componente finanziaria o quella assicurativa). Lo vedremo in modo puntuale più avanti nella serie.
Esempio pratico. Premio unico 100.000 €, linea bilanciata 50/50 azioni–obbligazioni, costi all–in 2% a.a. In 5 anni con rendimento medio lordo del 4% a.a., il controvalore atteso al lordo è ~121.700 €; togliendo 2% di costi ogni anno, il netto scende ~110.400 € (stima semplice a capitalizzazione composta). Se lo stesso portafoglio fosse replicabile in contenitore meno costoso, la differenza cumulata diventa materiale. Morale: non chiedete “quanto rende”, chiedete “quanto resta dopo costi e imposte”.
Profilazione corretta: obiettivo (accumulo, protezione, passaggio generazionale), orizzonte temporale (anni, non mesi), capacità di perdita (quanto drawdown tollero), conoscenze/esperienze. Senza questa mappa, qualsiasi unit/index rischia di essere un abito elegante ma di taglia sbagliata. L’adeguatezza non è un timbro: è un processo.
Trasparenza operativa. Chiedete sempre: (1) politica di investimento del fondo interno, (2) benchmark di riferimento, (3) regole di ribilanciamento, (4) limiti di concentrazione, (5) governance (chi decide cosa, quando e come). Nelle index, chiarite cosa replica (indice totale? con cap/floor? con protezioni?), chi emette l’eventuale sottostante obbligazionario e quali sono i rischi di controparte.
Rischi spesso sottovalutati: tracking error (scostamento dalla replica dell’indice), liquidità dei sottostanti, rischio emittente se c’è una componente strutturata, rischio cambio se i fondi sono in valuta estera. Spiegateli con esempi semplici: se l’indice fa +5% ma la tua polizza fa +3,8%, chiediti perché (costi, replica imperfetta, valute).
Quando hanno senso? Quando l’obiettivo coniuga pianificazione (beneficiari, continuità) e investimento diversificato con orizzonte adeguato, e quando la struttura costi è coerente con il valore aggiunto (es. architettura realmente aperta, disciplina di ribilanciamento, fiscalità). Quando non hanno senso? Orizzonti brevi, bisogno di liquidità immediata, aspettativa di capitale “garantito” senza oscillazioni.
Checklist d’ingresso: (1) leggi il KID e riporta i costi in euro; (2) verifica governance e benchmark; (3) allinea orizzonte e profilo di rischio; (4) definisci regole di versamento e uscita; (5) chiarisci aspetti successori/fiscali con un professionista; (6) misura nel tempo: il controllo è una buona abitudine, non un evento.
Esempio di comunicazione al cliente. “Questa soluzione ha un potenziale di diversificazione e una pianificazione successoria più semplice, ma il valore oscilla con i mercati e i costi sono X% annuo. Se condividiamo un orizzonte di N anni e regole di versamento/uscita, possiamo usarla con metodo. In caso contrario, meglio soluzioni più lineari.” Dire la verità prima costruisce fiducia dopo.
Errore tipico: giudicare la polizza dal rendimento di breve o da un confronto casuale con il vicino. Ogni unit/index è un contenitore: il risultato dipende da cosa ci metti (asset allocation), quanto costa, e quanto tempo lasci lavorare il capitale. Senza questi tre pilastri, la discussione resta sulle etichette.
Riassumiamo in una riga operativa: unit/index possono essere utili se scelte, costrutite e monitorate con metodo; diventano deludenti se prese come scorciatoia. Nel prossimo appuntamento entreremo nel perimetro normativo e nelle prime criticità ricorrenti in operatività e consulenza.
