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Evoluzione delle Startup: dalla Visione all’Impatto

Quando si parla di startup si fa riferimento a un’azienda di nuova costituzione e che ha la potenzialità di crescere nell’arco di un breve periodo, con un elevato contenuto innovativo.

Il termine indica, di fatto, la fase iniziale di un’impresa. Investire nelle startup significa investire nell’economia reale e di cui possono essere un vero e proprio strumento di supporto e di rilancio.

Il termine startup deriva dal verbo inglese to start up, che significa avviare, far partire, fondare (in questo caso un’azienda). Wikipedia, sull’origine de vocabolo, sostiene che “venne utilizzato per indicare il processo di accensione e avvio di un computer o di altro dispositivo elettronico.

La prima accezione economica faceva perlopiù riferimento alla fase iniziale di una nuova impresa nata nel settore internet o delle tecnologie dell’informazione. Il termine si è affermato ed è entrato nel dizionario finanziario italiano, ai tempi della bolla speculativa di internet”.

La crescita di una startup evolve seguendo una serie di fasi che ne permettono lo sviluppo e il consolidamento. La durata di questo processo è variabile e prevede l’utilizzo di una serie di risorse che cambiano in base allo stadio di crescita della stessa. Si possono identificare sei fasi che possono essere così sintetizzate:

* Pre-Seed – è la fase iniziale nel ciclo di vita in cui viene concepita l’idea di business e durante la quale gli sforzi sono indirizzati allo sviluppo e al perfezionamento della stessa al fine di costituire la società. È un momento molto delicato, perché è quello in cui i finanziamenti sono limitati essendo l’attività scarsamente conosciuta. I finanziatori delle startup, in questo contesto, sono, i fondatori o i cosiddetti Family, Friends and Fools (le famose 3F), a cui si possono aggiungere i business angels (i professionisti del settore o che vi hanno lavorato e vogliono investirvi), interessati ad attività con alto potenziale di rendimento.

* Seed – è la fase in cui l’idea della startup viene sviluppata e, per tale motivo, diventano necessari i finanziamenti. Questi ultimi possono avvenire o tramite aiuti pubblici (come i finanziamenti a fondo perduto per le startup) e/o attraverso forme di investimento privato quali il crowdfunding e gli investimenti da parte dei business angels o di acceleratori di startup.

* Early Stage – è la fase in cui ci si concentra sullo sviluppo dei prodotti, sulla costruzione di una base clienti e sulla creazione di un forte flusso di cassa. È qui che sono necessari maggiori investimenti (i cosiddetti “round”). Anche in questo caso sono presenti i business angels e anche i venture capital.

* Early Growth – è la fase in cui la startup inizia il suo vero e proprio sviluppo come azienda, con la definizione del processo di crescita, insieme a un piano commerciale. In termini di finanziamenti, è caratterizzata da due “round” che servono a sostenere l’attività svolta, chiamati “round di serie A” e “round di serie B”.

* Growth – è la fase in cui la startup entra in un processo di crescita sostenuta. I finanziamenti che vengono realizzati sono chiamati “round di serie C”, cui possono far seguito altri, con il possibile intervento dei venture capital. Durante questa fase la startup potrebbe decidere anche l’emissione di prestiti obbligazionari. Di solito è la fase che precede la quotazione (magari ne avete sentito parlare… sono le Ipo).

* Exit – è la fase finale del ciclo vita di una startup, capace oramai di autofinanziarsi grazie ai ricavi e, quindi, di espandersi. Le forme di exit possono essere: una Ipo, una M&A – quindi una Mergers and Acquisitions che comprende le operazioni di acquisizioni e/o fusioni e che hanno lo scopo di modificare l’assetto di due o più aziende – il buyback (dove l’imprenditore rientra in pieno possesso dell’azienda) e la secondary sale (nella quale l’imprenditore vende alcune quote della startup).

Ma Qual è la percentuale di successo di una startup?

Un’indagine di CB Insights parla di un tasso di fallimento per le aziende innovative compreso tra il 75 e il 90%. Un’altra ricerca di Failory conferma che il 90% delle imprese innovative non ce la fa: una su dieci. Sempre in un’analisi di CB Insights emerge che, dal monitoraggio di oltre 1.100 aziende tecnologiche che hanno raccolto fondi negli Stati Uniti nel 2008-2010, meno della metà, ovvero il 48%, è riuscita a fare un secondo round di finanziamento.

Le Start-up nascono, le Start-up muoiono. Perché le startup falliscono? L’alta percentuale di fallimento delle startup è dovuta a molteplici motivi, che spesso vanno a sovrapporsi e concorrere, così come definito dal report stilato da CB Insights.
Approfondiamo ora alcuni esempi di fallimento e di successo delle startup.

Partiamo dagli esempi di fallimento che nelle startup sono numerosi (come dicevamo) e dimostrano che l’insuccesso può portare a un successo futuro, come nel caso di queste tre aziende, che sicuramente conoscete:– Eric Schmidt. L’ex amministratore delegato di Google dopo il crollo di Google Reader disse chiaramente: “Celebriamo tutti i nostri fallimenti”.– Henry Ford. Con la “Detroit Automobile Company” e con la “Henry Ford Company” ebbe due bancarotte.

Solo al terzo tentativo ha successo con la Ford Motor Company.– Steve Jobs. Lancia nel 1992 “Newton” ritenuto l’antenato dei nostri computer portatili. Ottiene solo pubblicità negativa e la derisione dei media ma questa esperienza porta poi alla nascita dell’iPhone.

La percentuale di fallimento del comparto è così elevata che è difficile fare degli esempi. Ciò detto, CB Insights ha redatto un report in cui, dalle frodi finanziarie al semplice esaurimento dei soldi, si identificano 230 delle startup più costose della storia. È impossibile citarle tutte ma se andrete a curiosare nel link che vi lasciamo vi farete un’idea.

Per quanto riguarda i successi, invece, si possono citare casi recenti quali Uber o Airbnb o Netflix, che tutti noi consociamo. Un caso italiano che ha occupato, di recente, le pagine dei giornali è Satispay.

Il 28 settembre scorso Satispay ha annunciato un round di investimento di 320 milioni di euro, che è il più alto della storia del mondo delle startup e (scale up) italiane, e diventa un unicorno. Con questo termine si indicano le aziende private che hanno raggiunto una valutazione di mercato di oltre 1 miliardo di dollari o euro in base al mercato primario di riferimento.

L’operazione vede l’ingresso del venture capital americano Addition come lead investor. Greyhound Capital, tra gli altri azionisti dal 2018, segue e incrementa la propria quota nella società. Tra gli altri azionisti esistenti che partecipano figurano: Coatue, Lightrock Block Inc., Tencent e Mediolanum Gestione Fondi Sgr, tutti entrati con l’investimento da 93 milioni nel 2021.

Nata nel 2013 a Cuneo, oggi Satispay ha superato 3 milioni di persone e 200 mila negozi attivi. Nel 2021 ha toccato il miliardo di euro di volumi processati, con 2 milioni di operazioni di pagamento ogni settimana, e ora un fatturato netto annualizzato di 15 milioni all’anno. L’azienda conta quest’anno di superare i 2 miliardi di volumi processati e di raddoppiare il fatturato”.
Le startup in Italia hanno una storia recente.

Il decreto-legge 18 ottobre 2012 n. 179 (il decreto Passera), recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, convertito in successivamente in legge, ha introdotto nell’ordinamento italiano le startup innovative. Dall’ultimo report del Mise, emerge quanto segue.

Nonostante la pandemia, l’ecosistema delle startup innovative e delle PMI innovative evidenzia una grande vivacità nel 2020 relativamente alle principali variabili aziendali.

Al 31 dicembre 2020, le startup innovative sono 11.893 e registrano un aumento del 10% rispetto al 2019. Nello stesso anno la produzione si posiziona su poco meno di 1,5 miliardi di euro (sulla base dei bilanci 2019) con un aumento – su base annua – del 25,2%. Rilevante il contributo delle startup innovative all’occupazione (+12,5%) attribuibile soprattutto all’aumento dei soci finanziatori (+15,1%). È sempre la Lombardia la regione leader con il 27,1% delle neo imprese sul totale mentre la provincia di Milano ospita 2.300 startup innovative (pari al 19,2% del tessuto produttivo nazionale).

I dati che emergono dalla relazione sono una fotografia completa dei principali risultati raggiunti nel 2020 e nel 2021 dalle imprese innovative che hanno registrato una costante performance positiva, dimostrando anche una importante capacità di adattamento e trasformazione in una realtà economica e sociale in continua evoluzione a causa della crisi pandemica. Nel 2021 il numero di imprese innovative è cresciuto posizionandosi, alla fine del terzo trimestre (luglio-settembre), a circa 14.000 startup innovative (+16,8%) e a 2.066 PMI innovative (+15,5%).

Importante è stato il contributo di queste realtà imprenditoriale anche dal punto di vista dell’occupazione con un incremento del 40,5% E a quasi un decennio da questa norma, l’ecosistema del nostro paese si avvicina al miliardo di capitalizzazione. Più precisamente, si tratta di 938 milioni di euro, con una media di 64.898 euro a impresa.

Approfondiamo meglio, che cos’è una startup innovativa,

Ai sensi della normativa di riferimento (DL 179/2012, art. 25, comma 2) una startup innovativa è una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, che rispetti i seguenti requisiti oggettivi:

* è un’impresa nuova o costituita da non più di 5 anni;

* ha residenza in Italia, o in un altro Paese dello Spazio Economico Europeo ma con sede produttiva o filiale in Italia;

*  ha un fatturato annuo inferiore a 5 milioni di euro;

* non è quotata in un mercato regolamentato o in una piattaforma multilaterale di negoziazione;

* non distribuisce e non ha distribuito utili;

* ha come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di un prodotto o servizio ad alto valore tecnologico;

*  non è il risultato di una fusione, scissione o cessione di ramo d’azienda.

Infine, una startup è innovativa se rispetta almeno 1 dei seguenti 3 requisiti soggettivi:

1 – sostiene spese in Ricerca e Sviluppo, così come il personale impegnato nel medesimo settore, che sono generalmente considerati, nell’ambito dello studio dei processi di innovazione, essenziali fattori di input, finalizzati alla creazione di nuove conoscenze, che, attraverso le applicazioni, saranno trasformate nell’innovazione vera e propria, pari ad almeno il 15% del maggiore valore tra costo e valore totale della produzione;

2 – impiega personale altamente qualificato (almeno 1/3 dottori di ricerca, dottorandi o ricercatori, oppure almeno 2/3 con laurea magistrale);

3 – è titolare, depositaria o licenziataria di almeno un brevetto o titolare di un software registrato.
Tutto chiaro? …e quindi, come possiamo investire nelle startup?

In precedenza, sono stati illustrate le varie fasi di sviluppo delle startup cui sono state associati i vari round di finanziamento. Le forme di partecipazione variano se si è investitori istituzionali o privati. Le modalità d’investimento possono essere:

* Il crowdfunding;

* L’investimento diretto nel business della startup;

* Diventare un business angel;

* Sottoscrivere fondi che investono in startup, in base alle limitazioni che la normativa richiede.

Per avvicinare i privati al mondo delle start-up lo stato italiano ha previsto anche delle Agevolazioni fiscali. L’Art 29 del DL 18/10/2012 n.179 (convertito in Legge il 17/12/2012) prevede una normativa di favore che consente ai soggetti passivi IRPEF e ai soggetti passivi IRES di detrarre o dedurre le somme investite in startup innovative e di ottenere diversi benefici fiscali.

La disciplina fiscale di favore prevista per i soggetti passivi IRPEF o IRES che investono in startup innovative è stata modificata e resa permanente dal 2017 (in base all’art. 1 della Legge 232/2016 riferibile al comunicato stampa MEF del 2/10/2017) e autorizzata dalla Commissione europea nel settembre del 2017.

Per effetto del Decreto del 7 maggio 2019 del MEF che recepisce le indicazioni di cui all’autorizzazione della Commissione europea del 17 dicembre 2018, le agevolazioni fiscali dell’equity crowdfunding vengono estese anche agli investimenti effettuati in PMI innovative.

In particolare, la normativa relativa ai benefici fiscali prevede:

* Per i soggetti IRPEF una detrazione dall’imposta lorda pari al 30% delle somme investite nel capitale sociale di startup o PMI innovative, l’investimento massimo detraibile non può eccedere l’importo di 1.000.000 di euro, per ciascun periodo di imposta agevolato, per un risparmio massimo conseguibile pari a 300.000 euro anno. Per i soci di società in nome collettivo o in accomandita semplice l’importo per il quale spetta la detrazione è determinato in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili.
Se la detrazione supera l’imposta lorda, l’eccedenza può essere portata in detrazione entro i 3 anni successivi.

* Per i soggetti IRES una deduzione dal reddito pari al 30% delle somme investite nel capitale sociale di startup o PMI innovative; l’investimento massimo deducibile non può eccedere, in ciascun periodo d’imposta, l’importo massimo di 1.800.000 di euro e comporta un risparmio IRES massimo annuo di 129.600 euro (considerando l’aliquota IRES al 24%).Qualora la deduzione sia di ammontare superiore al reddito complessivo dichiarato, l’eccedenza può essere computata in aumento dell’importo deducibile dal reddito complessivo nei periodi di imposta successivi, ma non oltre il terzo, fino a concorrenza del suo ammontare.

Anche gli investimenti in via indiretta, ossia effettuati mediante la Società Veicolo di scopo, beneficiano delle suddette agevolazioni fiscali relative all’equity crowdfunding.

Tutto ciò, attenzione, non è esente da rischi.

Quando si acquistano titoli di capitale si partecipa al rischio economico legato all’attività dell’azienda in cui si investe. Si tratta di attività nella loro fase iniziale e quindi soggette a elevata volatilità, con ampi margini di errore. In sintesi, si può guadagnare molto, ma anche perdere molto. Per tale ragione, è importate, oltre a diversificare, stabilire l’ammontare che si è disposti a lasciare sul piatto.

Inoltre, poiché lo strumento finanziario di partecipazione al capitale di una startup o di una PMI non è negoziato in mercati regolamentati, c’è un grado molto elevato di illiquidità che potrebbe creare difficoltà nel momento cin cui si decidesse di vendere e di negoziare un prezzo congruo.

Per tali ragioni è importante agire con prudenza e attenzione. L’ausilio del proprio consulente finanziario, che conosce le inclinazioni dei clienti, può svolgere una funzione rilevante per valutare l’impatto dell’eventuale investimento sul portafoglio complessivo.

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